FATIMA MESSANA: IL PRESAGIO DELL’ABISSO
di Maria Rita Montagnani
Quando giunge
l’acida Ecate
non puoi sfuggire
alla sua ala oscena,
sferi colpi di morte
come carezze,
ti rifugi nel mondo
che ancora non c’è.
Tutto ciò che
di più lontano esiste,
è simile a te.
Milo Rossi
La scultura di Fatima Messana mette in gioco il dispiegamento di due forze opposte e contrarie – il pensiero e il sentimento – che all’interno del loro meccanismo di contrapposizione dialettica e creativa, divengono complementari e necessari l’uno all’altro. Infatti il pensare costruisce congetture che spesso il sentimento demolisce, così come pure il sentire crea nuovi modi e mondi che la ragione poi indaga e rende intelligibili, approfondendo la dimensione della coscienza.
C’è in queste opere un che di non detto ma soltanto adombrato e sfiorato, un qualcosa di sibillino e quasi oracolare, una sensazione di pericolo o di minacciare imminente o futura, che con la sua ombra lunga, proiettato e dentro di noi una strana inquietudine, come un senso di attesa ansiosa o di vago presagio. Ed è quel presagio il luogo della nostra consapevole inconsistenza, il ricettacolo delle temibili incognite, dove si affollano ombre, dubbi, interrogativi e spazi cavi che si spaventosi tra le granitiche certezze umane. E’ quello stato stesso sospensione in cui le cose sono di vacillare dalla loro staticità, come se una mano o una mente invisibili le ponesse in bilico sul loro enigma.
Se scolpire è per l’artista dare un volto familiare a ciò che abbiamo di più estraneo, per Fatima Messana è strappare il volto consueto delle cose che ci appariranno, per restituirlo a loro originaria oscurità. E per consegnarlo infine, magistralmente, all’abisso del vuoto e dell’ignoto.
Maria Rita Montagnani
Critico d’arte/ curatore indipendente
FATIMA MESSANA
di Alessandra Mazziotta
[…] “L’uomo è un mistero, io mi occupo di questo mistero perché voglio essere un uomo” diceva Dostojevskij e da questa citazione Fatima Messana sembra derivare il fascino verso la Natura umana, dalla quale percepisce una profonda contraddizione della “ belva” istintiva-razionale, identificabile in un “animale sociale” che crea e distrugge – e al contempo si crea e si distrugge – generando una catena di processi storici che sono soliti ripetersi. Questa replica diviene memoria, fondendo passato e futuro in una coesistenza Siamo difronte ad un’artista che vuol fare i conti con la verità misurandosi in un rapporto dialetticamente aperto con la realtà, potente fonte di riflessione.
La scultura diviene per Messana il frutto di tale riflessione, trasformata in un incredibile mezzo di comunicazione; quelle che Fatima Messana stessa definisce creature, sono il risultato di importanti ricerche su tematiche esistenziali, che affrontano senza filtri il delirio sociale contemporaneo. Grande centralità assume il realismo della forma, giungendo sino all’iperrealismo e consentendo a colui che guarda il trascendere del messaggio, il quale vuol essere emblematico ea volte beffardo.
Messana un’artista che ha ben scelto e scelto la strada da seguire e lo fa con la coerenza di chi ha molto da esprimere. Indaga sulla vita, sulla morte, ma anche su temi caldi come la religione e la politica, sino a giungere alla riflessione più spirituale di mente e corpo nello stato di insofferenza e apparenza che investe l’Essere, in una ciclicità perversa che non può non attenersi all’Uomo.
Le sue sculture umanoidi si vestono di potenziale riflessione allegorica ancor più originale dell’incidenza contemporanea. L’esempio più lampante è dato dall’opera intitolata “Testiculos qui non habet, Papa Esse non posset” tratto da “Prova di virilità” di Francesco Sorrentino. La scultura prende fonte d’ispirazione dal mito/leggenda di quella probabile e unica figura femminile parola al soglio pontificio, che avrebbe regnato la Chiesa con il nome maschile di Giovanni VIII dall’853 all’855.
Secondo la narrazione, la papessa non si esimeva da pratiche sessuali e rimase incinta. Nella solenne processione della santa Pasqua, il Papa dopo aver celebrato messa nella Basilica di San Pietro tornò in Laterano; durante il Corteo Papale l’entusiasmo della folla intimorì il cavallo che portava il Pontefice, a seguito della violenta reazione dell’animale il papa ebbe un prematuro travaglio. Una volta scoperto il segreto, la papessa subì l’indignazione e l’ira della folla che la trascinò per i piedi nelle strade di Roma e successivamente la lapidò a morte. Numerose sono le versioni di questa storia come quella riportata nei testi di Martino di Troppau, secondo la quale la papessa Giovanna sarebbe morta a seguito del parto oppure, una volta scopertane l’identità, segregata in convento.
Cruciale parte della leggenda è un rito mai svoltosi realmente, ma idealizzato e, in chiave anti-romana, da autori protestanti del Cinquecento, in cui si suppone che ogni papa prima di salire al soglio dovesse essere sottoposto a un imbarazzo esame intimo che ne attestasse la virilità. L’esame consisteva nel far accomodare il futuro Papa su una seduta in porfido rosso, nella quale era presente un foro: dallo stesso i giovani diaconi si assicuravano della presenza di attributi maschili.
L’artista, per questa e per tutte le altre opere realizzate, parte dall’ideazione di un bozzetto preparatorio per creare l’armatura: l’anima-scheletro delle sculture sarà in ferro rivestito di materiale plastico e modellabile come la creta; successivamente effettuano calchi in gesso o in silicone a seconda della forma che intende conferire, per poi passare all’uso della resina come materiale finale.
Nell’opera “Testiculos qui non habet, Papa Esse non posset” il corpo modellato da Messana è vestito con un abito cucito a mano in cui è riconoscibile la raffigurazione di una donna, per l’appunto una papessa, privata del suo volto e della sua identità, mostrando così ancor più l’attenzione riflessa nel senso critico dell’artista sull’esclusione, ancora oggi esistente, per le donne ad incarichi esclusivi e secolarizzati, appannaggio del genere maschile, ma probabilmente anche a e menzogne che possono celarsi dietro una candida veste. La figura scultorea sfoggia elegantemente una mano benedicente con indosso l’anello papale, con l’altra regge il globo. La tradizionalità simbolica è presente, a eccezion fatta per la croce appesa al collo, dove pare non esserci Cristo crocifisso, ma un corpo dai tratti femminili.
Questo operato artistico fonda tutta la sua essenza sulla ciclicità controvertibile di un’assenza presente e una presenza assente riconducibili al movimento eclettico ed elusivo della filosofia postmoderna, ma tende a divenire metaforicamente comunicato di liberazione: di convenzioni, di schemi, delle storie vere o di fantasia e, soprattutto, vuole porre un seme fecondo per profonde riflessioni e leciti interrogativi.
L’abilità di Messana non consta solo di una resa artistica impeccabile e sapiente, ma è la suggestiva capacità di accattivarsi l’occhio curioso dello spettatore che, apparentemente ignaro, si ritrova a fare i conti con domande aperte; all’osservatore l’artista concede il dono di liberainterpretazione: solo così l’opera si completa. L’essenza contemporanea nell’arte è data dal messaggio che l’opera espleta, e se la sua resa è ancor più suggestiva, il fruitore si troverà dinnanzi a uno spettacolo che prende forma nella realtà e da essa attinge profonda ispirazione; il risultato saranno opere molto forti e di grande presa.
Il noto-ignoto mistero legato alla figura alla papessa ha incuriosito il genere umano in diversi periodi. A partire dal XIX secolo la leggenda ha interessato numerosi scrittori e in anni più recenti registi ne hanno narrato le vicende sul grande schermo; ricordiamo: “La papessa”, film del 2009 diretto da Sönke Wortmann e tratto dall’omonimo romanzo di Donna Woolfolk Cross. L’immagine della carta è legata anche alla discutibile pratica della cartomanzia dove rappresenta generalmente la conoscenza segreta e la dualità tra l’universo materiale e l’universo spirituale.
La Papessa è la seconda carta degli arcani maggiori dei tarocchi, ed è conosciuta anche come la Sacerdotessa; la dualità di questa carta in aspetto positivo indica consigli morali, se appare invece in aspetto negativo, rappresenta ignoranza, ipocrisia, falsità, bigottismo e superficialità; tutti elementi che probabilmente si riscontrano positivamente nella stessa accezione e negativa della provocatoria opera di Fatima Messana.
La provocazione è ciò che spinge questa artista a dare il proprio punto di vista nelle sue diverse creazioni, unito ad un tono di crudezza.
Nell’opera “Innocence” (2008), possiamo vedere il chiaro messaggio delle atrocità e mostruosità di cui può essere capace l’uomo. Nell’opera di Messana una giovane fanciulla è legata e appesa per i polsi con una corda, apparentemente crocifissa. La presenza della Croce è il simbolo immediato di tortura, sacrificio e violenza inflitto sull’esile corpo infantile che appare stremato e impotente. Le ferite non sono visibili, perché il dolore in questo caso è più nell’anima che nel corpo. Il realismo dell’opera, realizzata in vetroresina e dipinta ad olio, è ulteriormente marcata dai lunghi capelli umani, appartenuti all’artista stessa, conservati amorevolmente dalla madre durante la sua infanzia e che Messana ha direttamente cucito sulla calotta. La bambina nell’opera è nuda con le gambe a penzoloni ma è “viva”.
Nell’arte contemporanea, soprattutto quella legata agli anni del Femminismo (fine anni ’60 – anni’70), uno dei temi era il corpo femminile, letteralmente svestito per portare avanti campagne ideologiche estremamente importanti: serve di tale pratica, le donne principali portare portato il loro corpo all’attenzione generale. Un esempio può essere dato dall’opera “Ecce Homo” di Verita Monselles, dall’“Alfabetiere murale” di Bianca Menna in arte Tomaso Binga, dalle fotografie auto-rappresentative di Francesca Woodmann o ancora dalle performance di Marina Abramovic.
Fatima Messana con un’altra opera provocatoria, “Capra!”, vince il primo premio al X PNA nel 2013. La scultura mostra un busto umano finemente abbigliato con testa caprina, realizzato in stoffa e vetroresina. L’idea di base parte dall’esclamazione pronunciata dal Critico e Storico dell’Arte Vittorio Sgarbi “Capra!”. Tale parola se apostrofata verso il genere umano di trova di ignoranza e mancanza di conoscenza. Tutto si gioca sulla condizione esistenziale, nella quale il visibile è inganno e illusione. L’artista tuttavia oltre ad esprimere il suo disagio verso un’umanità sempre più bassa e servile vuole mostrare altresi come l’arte sia acquiescente verso il potere e accessibile solo a certe classi elitarie, concetto sottolineato dalla presenza del leone rosso, emblema della Biennale di Venezia, stampato sul taschino della giacca della figura. Riprendendo la filosofia di Schopenhauer, l’illusione copre il volto delle cose, velando la loro autentica essenza o ancora, come rilevava Pirandello, la realtà esterna pur essendo unica ed immutabile, nasconde centomila realtà, tanti quanti sono gli Esseri.
Il genere cambia ma la materialità è la medesima, grazie all’uso sapiente della vetroresina, presente anche nell’opera “Frosted Hearts” del 2013. Una suggestiva istallazione nella quale Messana mostra tre cuori glassati, fermi, lievitanti nello spazio e nel tempo; essi diventano movimento se animati da fattori esterni ma, al contempo, quasi congelati in un candore zuccherino. Sono forse metafora di un uomo che ha velato il proprio di quei sentimenti che cuore privato potrebbe sperimentare ad un’etica diversa da quella odierna. Il cuore è il centro motore dell’apparato circolatorio, dunque fonte vitale: la sua simbologia nell’arte e in altri campi lo vuole simbolo riferito alla spiritualità, emotività, moralità, insita nell’Essere.
Un tempo si riteneva il cuore sede della mente umana, ma nell’opera di questa artista appare forse più come una reliquia, tinta di bianco. Il bianco è il colore della purezza, della pulizia, dell’innocenza, della nascita e della precisione. Nell’arte paleocristiana si dipingevano di bianco le vesti dei santi, dei puri di cuore per l’appunto e dei fanciullini. Il bianco è il colore che annulla tutti gli altri e cancella il male, mantenendo al contrario quanto di più autentico ci sia.
Come vediamo siamo di fronte ad opere innovative e senza precedenti, che urlano e riflettono appieno lo spirito artistico contemporaneo. Il fulcro inventivo di un’artista come Messana è lasciare la più libera delle interpretazioni al suo pubblico, inducendolo a riflettere, a non essere statico e passivo. Per questo scopo, l’artista si serve di mezzi come la denuncia, lo stupore e l’insita destabilizzazione violenta, che affiora come immagine dalle sue opere, con il fine di scuotere le menti.
In quanto “figura” appartenente a questa società, Messana vuole esprimere il suo pensiero, la sua verità e il proprio gusto personale sulle vicende, sulle domande che vorrebbero cambiare, facendo sentire in qualche modo la propria voce, attraverso quanto di più intimistico e spirituale ci sia per un’artista.
Alessandra Mazziotta
curatrice indipendente
fonte: DR Tedeschi, S. Pieralice, L.Carini, F. Peligra, G. Vulcano, A. Fanti, A. Mazziotta, A. Fantuzzi, R. Miniati, G. Faccenda, V. Tassinari, M. Beraldo, C Strinati, EM Eleuteri, (a cura di), DOLCE MORTE – Fatima Messana, 56° Biennale di Venezia catalogo della mostra, pp. Editoriale Giorgio Mondadori, Roma, 2015
NON BASTA GUARDARE, OCCORRE GUARDARE CON OCCHI CHE VOGLIONO VEDERE
di Federica Recchia
Trovandosi di fronte all’immagine della scultura “Sine Pietate” di Fatima Messana è inevitabile per noi il rimando a una delle iconografie più esplorate dall’arte cristiana, quella della Pietà di Michelangelo. La struttura a piramide, la figura della Vergine seduta con il piede destro appoggiato su una piccola roccia, che nell’iconografia cristiana rappresenta il Monte Calvario sul quale venne crocefisso Gesù, le pieghe della veste che hanno una vera e propria topografia come componessero un paesaggio , la mano destra intenta a sollevare un corpo, e la sinistra rivolta con il palmo verso l’alto. Ma c’è qualcosa di diverso.
Già il titolo “Sine Pietate” ci pone un punto di riflessione. A differenza delle altre rivisitazioni dell’arte contemporanea, la figura della Vergine è privata del volto e adagiato sulle gambe non troviamo il corpo di Gesù, morto dopo infinite sofferenze, ma un drappo che segue esattamente la linea del corpo del Cristo rappresentato da Michelangelo . La mano destra della Vergine, allo stesso modo dell’originale, accarezza con delicatezza e con un senso di drammaticità il tessuto. La testa è cinese sulla destra, verso quella mano che sostiene un grande vuoto. Il rapporto di comunicazione che si crea tra l’opera e chi la osserva è di una grandissima empatia, in grado di scendere negli abissi dell’intimo o di salire fino alla dimensione più alta della spiritualità.
A un primo impatto, questa guardando scultura e ricordando il titolo, la sensazione che si prova è di turbamento. Si viene colti da un senso di angoscia che ti stringe lo stomaco, di un vuoto esistenziale, un abisso. Ma come accade nell’arte contemporanea, non ci si può fermare alle apparenze. Ed è allo sguardo successivo che si raggiunge l’apertura concettuale e la dimensione contemplativa. In quel silenzio si percepisce qualcosa di ancora più intimo che commuove. Non c’è abisso ma speranza. Il fatto che non ci sia un volto sulla figura della Vergine e non un corpo adagiato sulle sue gambe fa si che noi diventiamo protagonisti anziché semplici spettatori. Questa scultura parla di ognuno di noi. Della realtà e del dramma dell’uomo contemporaneo scisso tra l’atavica necessità di credere nel valore sacro del culto e le tendenze profane della vita reale contemporanea, basato su una scala di valori totalmente inversi. Al contempo evoca l’idea di un mondo migliore e più giusto che forse rappresenta la nostra sola speranza di redenzione. E lo fa attraverso la simbologia dell’uovo. Nella Pietà di Michelangelo, la mano sinistra della Vergine è rivolta verso l’alto in segno di una dolorosa rassegnazione.
Nell’opera di Fatima Messana, la mano sinistra mantiene la posizione originale, ma in essa vi è posto un uovo. Le sue dimensioni potrebbero far pensare ad un uovo di struzzo, come quello che pende dal soffitto, sul capo della Vergine, nella Pala di Brera di Piero della Francesca, chiaro simbolo religioso legato alla spiritualità dell’immacolata concezione. In ogni caso, qualunque sia la sua natura, la simbologia dell’uovo, dalle culture occidentali a quelle orientali, è legata alla vita che nasce nuovamente, come per la figura della Fenice. Questa interpretazione mi fa pensare al film “Pietà” di Kim ki Duk, del 2012. Inevitabilmente il titolo dell’opera si ricollega al capolavoro di Michelangelo, come testimonia anche l’immagine della locandina ma in realtà è una parabola sul capitalismo estremo e sulle conseguenze che questo riflette sulle relazioni umane e interfamiliari. Dell’essenza umana che stiamo perdendo o che abbiamo già perduto. Si sofferma su un sentimento di pietà che sgorga dalla società contemporanea, soggiogata da violenza e soprusi e che trova nel dio denaro l’origine e la fine di tutte le cose. L’unica nostra salvezza passa attraverso il recupero dei valori dimenticati.
Per la Arendt, la “banalità del male” significava essere “senza radici” poiché il male non è mai “radicale”. “Può invadere e devastare il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Solo il bene ha profondità è può essere integrale.”. Ognuno di noi possiede un lato maligno. Siamo tutte vittime e carnefici in un eterno conflitto tra carne e spirito. Ma quando subentra la ragione sentiamo il bisogno di redenzione. La redenzione del corpo è, secondo San Paolo, oggetto della speranza. Questa speranza è stata innestata nel cuore dell’uomo in un certo senso subito dopo il primo peccato. Nella lettera ai Romani dice: «Anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente, aspettando … la redenzione del nostro corpo». Ed è l’idea della morte che pone soprattutto l’interrogativo sul senso della nostra esistenza scuotendo l’intelligenza e la sensibilità dell’uomo.
In questo senso l’opera “Sine Pietate” di Fatima Messana diviene un’intima esplorazione e comprensione dei profondi misteri dell’esistenza umana. Ci invita a condividere un sentimento al di fuori di ogni riferimento religioso rendere la figura della Pietà un’icona universale non più legata a un’unica religione ma che abbraccia culture e culti universali.
Federica Recchia
curatore indipendente
FATIMA MESSANA – Scultura X PNA
di Federica Marrubini
Nell’epoca in cui viviamo la rapidità della comunicazione è salita ai normali mezzi di trasmissione si sono aggiunti i vari social network. La possibilità di accesso alla rete in qualsiasi momento e da ogni luogo ha favorito la crescita numerica degli utenti e la diffusione di marchi industriali globali e locali di ogni tipologia. Pertanto la comunicazione è divenuta quotidiana, istantanea e soprattutto trasmissibile in tempo reale. Con internet l’uomo può diffondere notizie di vario genere: dove passerà la serata, cosa sta cucinando, dove è in vacanza, condividere una canzone, un articolo di politica, fino ad arrivare a mostrare il cambiamento del proprio corpo in gravidanza. Mediante internet allarma gli “amici” su avvistamenti di bambini in autobus con falsi genitori, o denuncia questioni delicate a volte provocatorie. Tali argomentazioni non passano inosservate, ma portano in seguito dalla scandalizzazione eventuale, portano in molti casi a rifiutare le notizie ea fuggire dalle proprie responsabilità. Dunque, i social solo limitatamente riescono a comunicare in maniera durata informazioni scomode.
Pedofilia, maltrattamenti, sfruttamento minorile, violenza sessuale, incesto, commercio di bambini e tanto altro, sono questioni non sufficientemente trattate rispetto alla loro reale diffusione. Il risultato, prima e dopo la divulgazione della notizia non cambia, si aggiungono, invece di diminuire, cuori dilaniati, vite spezzate, corpi trafitti e vite bruciate.
Diversamente, il messaggio insito nell’opera d’arte rimane indelebile. Sono questi a mio avviso i motivi sottesi alla ricerca di Fatima Messana, giovane artista che ha recentemente terminato l’Accademia fiorentina e vincitrice del primo premio di scultura al X PNA tenutosi nel 2013 a Bari. Personalità forte, determinata e solare, Fatima, la cui
attività espositiva inizia nel 2003, racconta della violenza sui bambini e, implicitamente, della complice impotenza di chi dovrebbe impegnarsi per arrestare tale vergogna.
Messana non usa filtri, il suo messaggio esprime in totale chiarezza la mostruosità di cui è capace l’uomo, l’orrore che riesce a produrre con pochi gesti. In «Innocence» (2008) la violenza è inflitta ad un esile corpo infantile, stremato dal dolore e impotente. Non vi sono ferite visibili, ma la presenza del Crocifisso è un simbolo immediato che esprime tortura e sacrificio. I piedi penzolano, le mani sono legate e il pube è scoperto. Il realismo dell’opera, realizzata in vetroresina e dipinta ad olio, è reso ulteriormente violento dalla presenza dei lunghi capelli veri. Il modo di comunicare può sembrare crudo, ma in funzione della volontà dell’artista di coinvolgere l’osservatore e indurlo a
ragionare. Il pensiero di Fatima al riguardo non lascia fraintendimenti: «L’uomo è una belva addomesticata e la sua mente è cosa pericolosa, una scatola apocalittica dove egli si specchia nel fondo dell’essere e ciò che non riesce a controllare lo può riversare a discapito di chi non ha difese. La purezza di un infante è ciò che lo contraddistingue dalle masse informi degli uomini che vivono sopravvivendo. Una bimba derubata dalla sua innocenza non può far altro che sopravvivere, tentando con forza di cancellare ciò che l’ha resa gelida e violata, condannandola a portare con se il ricordo indelebile di ciò che l’ha messa in croce».
Nel panorama artistico internazionale contemporaneo la ricerca artistica della giovane artista non è isolata, anche altre personalità utilizzano figure infantili per denunciare ogni tipo di crimine a loro danno, e se, il più delle volte, il pubblico rimane violentemente turbato dalle scelte rappresentative dell’artista – così dirompentemente brutali e angoscianti – è da ribadire che il criminale che offende il comune senso del rispetto per una vita in crescita, non è certo l’artista, che invece urla un disagio atroce, tristemente diffuso a livello mondiale.
La seconda opera presentata da Fatima al “Cassero” è una figura femminile in abito papale. La scultura è un inedito, terminata all’inizio del 2014 ed esposta qui per la prima volta. Il titolo «Testiculos qui non habet Papa esse non posset», tratto da “Prova di virilità” di Francesco Sorrentino, riguarda la vicenda legata al mito o alla leggenda della Papessa Giovanna che alla metà del IX secolo salì, tramite inganni e travestimenti, al soglio pontificio con il nome di Giovanni VIII, ma rimasta incinta, venne smascherata e lapidata a morte. Parte essenziale della leggenda è un rito fantasticato dal popolo e ripreso, in chiave anti-chiesa romana con molto gusto, da autori protestanti del Cinquecento: s’immaginò che ogni nuovo papa venisse sottoposto a un accurato esame intimo per assicurarsi che non fosse una donna travestita.
L’esame avveniva con il nuovo papa assiso su una sedia di porfido rosso, nella cui seduta era presente un foro. I più giovani tra i diaconi presenti avrebbero avuto il compito di tastare sotto la sedia per assicurarsi della presenza degli attributi virili del nuovo papa. A partire dal XIX secolo la vicenda ha interessato numerosi scrittori e in anni recenti ben due registi ne hanno narrato la vicenda sul grande schermo. Anche in questa opera, che raffigura la donna a capo della Chiesa, in forma statica e austera, priva di volto e quindi di identità, è da intendere come un’ulteriore riflessione critica dell’artista: la preclusione ancora esistente per le donne all’accesso di incarichi – pochissimi per altro – ancora esclusivi e secolarizzati per il genere maschile. La figura con una mano benedice il popolo e indossa l’anello papale, mentre con l’altra sostiene il globo dove è riportata la benedizione. I simboli sono tradizionali ad esclusione della croce appesa al collo, dove non c’è il Cristo crocifisso, ma un corpo femminile.
La terza ed ultima opera in mostra è «Capra!» (2012) scultura con la quale Messana vince il primo premio al X PNA del 2013. Esposta al Cassero nella sala miscellanea, attorniata dai ritratti della collezione permanente con i quali sembra dialogare. Si tratta di un busto d’uomo con testa caprina, realizzato in vetroresina e stoffa. La policromia di quest’opera, che caratterizza tutte le sculture in mostra, è data dalla necessità di realismo e legata all’altra tecnica praticata dall’artista, quella pittorica. L’idea prende spunto dalla prolungata e ripetuta esclamazione – Capra! – pronunciata dal critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi. Tale critica è stata più volte mossa, durante alcune
discussioni, contro coloro che sostenevano idee a lui contrastanti. Lasciando a ciascuno il giudicare tale l’atteggiamento, la parola “capra” indica l’ignoranza, la mancanza di fondamento veritiero e l’assenza di sapere dell’uomo. In quest’ottica «Capra!» è la manifestazione del rifiuto, da parte dell’umanità, di conoscere i drammi sociali che affliggono il nostro contemporaneo, ma allo stesso tempo, la presenza del leone rosso, simbolo della Biennale di Venezia, presente sul taschino della giacca della figura, orienta l’opera ad un’altra interpretazione di denuncia del sistema, e questa volta il bersaglio pare il mondo dell’arte, specificatamente quello delle esposizioni ufficiali e internazionali, luoghi elitari e circoscritti dove non sempre è la bravura a prevalere e ad essere riconosciuta, bensì fattori commerciali e mercantili, talvolta profondamente estranei alla genuina creazione artistica.
L’opera ha una forma apparentemente ironica ma, in realtà, è anche rappresentativa di una
condizione esistenziale, nella quale il visibile è ingannevole ed illusorio. Secondo la filosofia di Schopenhauer infatti, l’illusione copre il volto delle cose, velando la loro essenza autentica, o come riteneva Pirandello, la realtà esterna pur essendo unica ed immutabile, nasconde centomila realtà, tante quante sono gli individui, i quali si nascondono dietro una maschera.
Le opere di Fatima Messana nascono dall’esigenza profonda di comunicare il disagio sociale, sono sculture “dirette” e fortemente concettuali o, come lei ama definirle, visioni pure, espressioni che sorgono autonomamente dalla sua interiorità.
Federica Marrubini
curatore indipendente
Fonte: A. Panzetta, F. Marrubini (a cura di), Fatima Messana. X PNA sezione scultura, catalogo della mostra di Montevarchi, Aska, Firenze 2014.
FATIMA MESSANA – X PNA
by Alfonso Panzetta
Il primo appuntamento di quella ricognizione ed indagine critica che il museo montevarchino – unico in Italia che per vocazione è interamente dedicato alla scultura – da alcuni anni ha avviato sulla plastica del nostro tempo sondandone i materiali, le problematiche, i linguaggi e le poetiche, all’interno del progetto regionale “Toscanaincontemporanea2013”, ora focalizzato sugli artisti under 35 formatisi dell’alveo della grande tradizione italiana delle Accademie di Belle Arti, è dedicato a Fatima Messana. La presentazione di alcune opere dell’artista siciliana d’adozione, formatasi all’Accademia di Belle Arti di Firenze e vincitrice della sezione scultura del X PNA (Premio Nazionale delle Arti 2013), all’interno delle sale permanenti de “Il Cassero” offre spunti singolari di riflessione sulla nostra società – sospesi tra stupore e denuncia comportamentale – che destabilizzano profondamente e a volte violentemente l’osservatore coinvolgendolo sui temi del rispetto e del tragico malcostume del nostro tempo.
Fatima Messana è giovane, ma non priva di esperienze espositive in mostre collettive nazionali e internazionali dove si è già distinta per la sua espressività fortemente concettuale, sostenuta dalla sicura capacità di modellare immagini di poderoso impatto visivo realizzate in materiali diversi che spaziano dai sintetici ai tessili, dai lignei agli organici di provenienza umana.
I lavori di Fatima, solo apparentemente sulla linea di ricerca provocatoria di Maurizio Cattelan, in diretto colloquio con la scultura otto-novecentesca nelle sale permanenti del Museo, rivitalizzano una delle più nobili funzioni che ha avuto l’arte a far capo dall’ultimo quarto del XIX secolo, quella di essere anche denuncia e urlo lancinante contro una società che pare aver perso i basilari fondamenti del rispetto e dell’armonia. Catalogo di 32 pagine, corredato da una serie di foto di Andrea Pierozzi e da un video realizzato da Andrea Foschi, Tommaso Orbi e Fulvia Orifici, con un testo di Federica Marrubini.
Alfonso Panzetta
Direttore del Museo “Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento” di Montevarchi (AR)
Fonte: A. Panzetta, F. Marrubini (a cura di), Fatima Messana. X PNA sezione scultura, catalogo della mostra di Montevarchi, Aska, Firenze 2014.