56th International Art Exhibition La Biennale di Venezia - Sweet Death | Fatima Messana
16427
post-template-default,single,single-post,postid-16427,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode-child-theme-ver-1.0.0,qode-theme-ver-9.1.3,wpb-js-composer js-comp-ver-6.10.0,vc_responsive

01 May 56th International Art Exhibition La Biennale di Venezia – Sweet Death

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, La Papessa, Biennale di Venezia

“56° Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia (All the World’s Futures) – Padiglione Nazionale Guatemala

 SWEET DEATH – Collettivo La Grande Bouffe

Sfoglia il Catalogo PDF

 

a cura di Carlo Marraffa, Stefania Pieralice, Elsie Wunderlich

commissario Daniele Radini Tedeschi

9 maggio – 22 novembre 2015

Officina delle Zattere, Venezia

Fondamenta Nani – Dorsoduro 947

 

→Google Cultural Institute about “Sweet Death” at La Biennale di Venezia

 

FATIMA MESSANA alla 56° Biennale di Venezia (All the World’s Futures), SWEET DEATH, La Grande BouffePadiglione Nazionale Guatemala

Testo critico di Alessandra Mazziotta

 

[…] “L’uomo è un mistero, io mi occupo di questo mistero perché voglio essere un uomo” diceva Dostojevskij e da questa citazione Fatima Messana sembra derivare il fascino verso la Natura umana, dalla quale percepisce una profonda contraddizione della “belva” istintiva-razionale, identificabile in un “animale sociale” che crea e distrugge – e al contempo si crea e si distrugge – generando una catena di processi storici che sono soliti ripetersi.

Questa ripetizione diviene memoria, fondendo passato e futuro in una coesistenza presente. Siamo difronte ad un’artista che vuol fare i conti con la verità misurandosi in un rapporto dialetticamente aperto con la realtà, potente fonte di riflessione.

La scultura diviene per Messana il frutto di tale riflessione, trasformata in un incredibile mezzo di comunicazione; quelle che Fatima Messana stessa definisce creature, sono il risultato di importanti ricerche su tematiche esistenziali, che affrontano senza filtri il delirio sociale contemporaneo. Grande centralità assume il realismo della forma, giungendo sino all’iperrealismo e consentendo a colui che guarda il trascendere del messaggio, il quale vuol essere emblematico e a volte beffardo.

Messana è un’artista che ha ben individuato e scelto la strada da seguire e lo fa con la coerenza di chi ha molto da esprimere. Indaga sulla vita, sulla morte, ma anche su temi caldi come la religione e la politica, sino a giungere alla riflessione più spirituale di mente e corpo nello stato di insofferenza e apparenza che investe l’Essere, in una ciclicità perversa che non può non attenere all’Uomo.

Le sue sculture umanoidi si vestono di potenziale riflessione allegorica ancor più originale dell’incidenza contemporanea. L’esempio più lampante è dato dall’opera intitolata “Testiculos qui non habet, Papa Esse non posset” tratto da “Prova di virilità” di Francesco Sorrentino. La scultura prende fonte d’ispirazione dal mito/leggenda di quella probabile e unica figura femminile salita al soglio pontificio, che avrebbe regnato la Chiesa con il nome maschile di Giovanni VIII dall’853 all’855.

Secondo la narrazione, la papessa non si esimeva da pratiche sessuali e rimase incinta. Nella solenne processione della santa Pasqua, il Papa dopo aver celebrato messa nella Basilica di San Pietro tornò in Laterano; durante il Corteo Papale l’entusiasmo della folla intimorì il cavallo che portava il Pontefice, a seguito della violenta reazione dell’animale il papa ebbe un prematuro travaglio. Una volta scoperto il segreto, la papessa subì l’indignazione e l’ira della folla che la trascinò per i piedi nelle strade di Roma e successivamente la lapidò a morte. Numerose sono le versioni di questa storia come quella riportata nei testi di Martino di Troppau, secondo la quale la papessa Giovanna sarebbe morta a seguito del parto oppure, una volta scopertane l’identità, segregata in convento.

Cruciale parte della leggenda è un rito mai svoltosi realmente, ma idealizzato e ripreso, in chiave anti-romana, da autori protestanti del Cinquecento, in cui si suppose che ogni papa prima di salire al soglio dovesse essere sottoposto a un imbarazzante esame intimo che ne attestasse la virilità. L’esame consisteva nel far accomodare il futuro Papa su una seduta in porfido rosso, nella quale era presente un foro: dallo stesso i giovani diaconi si assicuravano della presenza di attributi maschili.

L’artista, per questa e per tutte le altre opere realizzate, parte dall’ideazione di un bozzetto preparatorio per creare l’armatura: l’anima-scheletro delle sculture sarà in ferro rivestito di materiale plastico e modellabile come la creta; successivamente effettua calchi in gesso o in silicone a seconda della forma che intende conferire, per poi passare all’uso della resina come materiale finale.

Nell’opera “Testiculos qui non habet, Papa Esse non posset” il corpo modellato da Messana è vestito con un abito cucito a mano in cui è riconoscibile la raffigurazione di una donna, per l’appunto una papessa, privata del suo volto e della sua identità, mostrando così ancor più l’attenzione riflessiva in senso critico dell’artista sull’esclusione, ancora oggi esistente, per le donne ad incarichi esclusivi e secolarizzati, appannaggio del genere maschile, ma probabilmente anche a verità e menzogne che possono celarsi dietro una candida veste. La figura scultorea sfoggia elegantemente una mano benedicente con indosso l’anello papale, con l’altra regge il globo. La tradizionalità simbolica è presente, a eccezion fatta per la croce appesa al collodove pare non esserci Cristo crocifisso, ma un corpo dai tratti femminili.

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, La Papessa, Biennale di Venezia

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, 56° Biennale di Venezia

 

Questo operato artistico fonda tutta la sua essenza sulla ciclicità controvertibile di un’assenza presente e una presenza assente riconducibili al movimento eclettico ed elusivo della filosofia postmoderna, ma tende a divenire metaforicamente portavoce di liberazione: di convenzioni, di schemi, delle storie vere o di fantasia e, soprattutto, vuole porre un seme fecondo per profonde riflessioni e leciti interrogativi.

L’abilità di Messana non consta solo di una resa artistica impeccabile e sapiente, ma è la suggestiva capacità di accattivarsi l’occhio curioso dello spettatore che, apparentemente ignaro, si ritrova a fare i conti con questioni aperte; all’osservatore l’artista concede il dono di libera interpretazione: solo così l’opera si completa. L’essenza contemporanea nell’arte è data dal messaggio che l’opera espleta, e se la sua resa è ancor più suggestiva, il fruitore si troverà dinnanzi a uno spettacolo che prende forma nella realtà e da essa attinge profonda ispirazione; il risultato saranno opere molto forti e di grande presa. Il noto-ignoto mistero legato alla figura alla papessa ha incuriosito il genere umano in diversi periodi. A partire dal XIX secolo la leggenda ha interessato numerosi scrittori e in anni più recenti registi ne hanno narrato le vicende sul grande schermo; ricordiamo: “La papessa”, film del 2009 diretto da Sönke Wortmann e tratto dall’omonimo romanzo di Donna Woolfolk Cross.

L’immagine della papessa è legata anche alla discutibile pratica della cartomanzia dove rappresenta generalmente la conoscenza segreta e la dualità tra l’universo materiale e l’universo spiritualeLa Papessa è la seconda carta degli arcani maggiori dei tarocchi, ed è conosciuta anche come la Sacerdotessa; la dualità di questa carta in aspetto positivo indica consigli morali, se appare invece in aspetto negativo, rappresenta ignoranza, ipocrisia, falsità, bigottismo e superficialità; tutti elementi che probabilmente si riscontrano nella stessa accezione positiva e negativa della provocatoria opera di Fatima Messana.

 

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, Venezia, 01.07.2015. Officina Zattere "Sweet Death" - Padiglione nazionale Guatemala.

Fatima Messana, Testiculos qui non habet, Papa Esse non posset, 56th Biennale di Venezia. Photo by →Google Cultural Institute about “Sweet Death” at La Biennale di Venezia

 

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, La Papessa, Biennale di Venezia

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, 56° Biennale di Venezia

 

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, La Papessa, Biennale di Venezia

Fatima Messana, Testiculos qui non habet Papa Esse non posset, 56° Biennale di Venezia

 

La provocazione è ciò che spinge questa artista a dare il proprio punto di vista nelle sue diverse creazioni, unito ad un tono di crudezza. Nell’opera “Innocence” (2008), possiamo vedere il chiaro messaggio delle atrocità e mostruosità di cui può essere capace l’uomo. Nell’opera di Messana una giovane fanciulla è legata e appesa per i polsi con una corda, apparentemente crocifissa. La presenza della Croce è il simbolo immediato di tortura, sacrificio e violenza inflitto sull’esile corpo infantile che appare stremato e impotente. Le ferite non sono visibili, perché il dolore in questo caso è più nell’anima che nel corpo. Il realismo dell’opera, realizzata in vetroresina e dipinta ad olio, è ulteriormente marcata dai lunghi capelli umani, appartenuti all’artista stessa, conservati amorevolmente dalla madre durante la sua infanzia e che Messana ha direttamente cucito sulla calotta. La bambina nell’opera è nuda con le gambe a penzoloni ma è “viva”. Tale opera fa riflettere sulla bruttura umana e vuol essere un chiaro richiamo alla difesa della fragilità dell’infanzia e delle donne. Nell’arte contemporanea, soprattutto quella legata agli anni del Femminismo (fine anni ‘60 – anni’70), uno dei temi principali era il corpo femminile, letteralmente svestito per portare avanti campagne ideologiche estremamente importanti: servendosi di tale pratica, le donne avrebbero portato il loro corpo all’attenzione generale. Un esempio può essere dato dall’opera “Ecce Homo” di Verita Monselles, dall’“Alfabetiere murale” di Bianca Menna in arte Tomaso Binga, dalle fotografie auto-rappresentative di Francesca Woodmann o ancora dalle performance di Marina Abramovic.

Fatima Messana con un’altra opera provocatoria, “Capra!”, vince il primo premio al X PNA nel 2013. La scultura mostra un busto umano finemente abbigliato con testa caprina, realizzato in stoffa e vetroresina. L’idea di base parte dalla esclamazione pronunciata dal Critico e Storico dell’Arte Vittorio Sgarbi “Capra!”. Tale parola se apostrofata verso il genere umano diviene sinonimo di ignoranza e mancanza di conoscenza.

Tutto si gioca sulla condizione esistenziale, nella quale il visibile è inganno e illusione. L’artista tuttavia oltre ad esprimere il suo disagio verso un’umanità sempre più bassa e servile vuole mostrare altresi come l’arte sia acquiescente verso il potere e accessibile solo a certe classi elitarie, concetto sottolineato dalla presenza del leone rosso, emblema della Biennale di Venezia, stampato sul taschino della giacca della figura.

Riprendendo la filosofia di Schopenhauer, l’illusione copre il volto delle cose, velando la loro autentica essenza o ancora, come rilevava Pirandello, la realtà esterna pur essendo unica ed immutabile, nasconde centomila realtà, tanti quanti sono gli Esseri.

Il genere cambia ma la materialità è la medesima, grazie all’uso sapiente della vetroresina, presente anche nell’opera “Frosted Hearts” del 2013. Una suggestiva istallazione nella quale Messana mostra tre cuori glassati, fermi, lievitanti nello spazio e nel tempo; essi diventano movimento se animati da fattori esterni ma, al contempo, quasi congelati in un candore zuccherino. Sono forse metafora di un uomo che ha velato il proprio cuore privandosi di quei sentimenti che lo avrebbero condotto ad un’etica diversa da quella odierna. Il cuore è il centro motore dell’apparato circolatorio, dunque fonte vitale: la sua simbologia nell’arte e in altri campi lo vuole simbolo riferito alla spiritualità, emotività, moralità, insita nell’Essere. Un tempo si riteneva il cuore sede della mente umana, ma nell’opera di questa artista appare forse più come una reliquia, tinta di bianco. Il bianco è il colore della purezza, della pulizia, dell’innocenza, della nascita e della precisione. Nell’arte paleocristiana si dipingevano di bianco le vesti dei santi, dei puri di cuore per l’appunto e dei fanciullini. Il bianco è il colore che annulla tutti gli altri e cancella il male, mantenendo al contrario quanto di più autentico ci sia.

Come vediamo siamo di fronte ad opere innovative e senza precedenti, che urlano e riflettono appieno lo spirito artistico contemporaneo. Il fulcro inventivo di un’artista come Messana è lasciare la più libera delle interpretazioni al suo pubblico, inducendolo a riflettere, a non essere statico e passivo. Per questo scopo, l’artista si serve di mezzi come la denuncia, lo stupore e l’insita destabilizzazione violenta, che affiora come immagine dalle sue opere, con il fine di scuotere le menti.

In quanto “figura” appartenente a questa società, Messana vuole esprimere il suo pensiero, la sua verità e il proprio gusto personale sulle vicende, sulle questioni che vorrebbe cambiare, facendo sentire in qualche modo la propria voce, attraverso quanto di più intimistico e spirituale ci sia per un’artista.

 

Testo critico di Alessandra Mazziotta 

fonte:  D.R. Tedeschi, S. Pieralice, L.Carini, F. Peligra, G. Vulcano, A. Fanti, A. Mazziotta, A. Fantuzzi, R. Miniati, G. Faccenda, V. Tassinari, M. Beraldo, C. Strinati, E.M. Eleuteri, (a cura di), SWEET DEATH, Fatima Messana, 56° Biennale di Venezia catalogo della mostra, pp. 218,219,220,221; Editoriale Giorgio Mondadori, Roma, 2015